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Testi

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Fragole - Casey Bartsch

Fragole - Casey Bartsch

Traduzione di Roberta Berardi

Fragole - Casey Bartsch

Estratto del libro

Tre pillole le caddero dalla borsetta, roteando in cerchio sul pavimento finché non si fermarono vicino al WC. Una era un Valium celeste, l’altra una pasticca di ibuprofene, mentre la terza, con un numero bianco impresso, non si lasciava identificare. Quando la raccolse, la pillola ormai vecchia le si sbriciolò in mano e si chiese da quanto tempo si trovasse nella confezione. Spazzò via alcune macchie di polvere e lanugine, dopo di che chiuse gli occhi e le buttò giù tutte e tre.

Il bagno faceva davvero schifo. Nessuno lo puliva da molto tempo, ammesso che fosse stato mai pulito. Rabbrividì al pensiero della roba attaccatasi alle pillole, ma cercò di allontanare quell’idea.

Sylvia era ormai divenuta una grande esperta nel buttar giù pillole senza liquidi, eppure una delle tre le si bloccò in gola. Produsse un suono simile allo starnuto di una iena e per fortuna la pillola andò nel verso giusto. Diede un’occhiata al lavandino, chiedendosi che sapore potesse avere quell’acqua, ma preferì lasciarsi la gola secca. Non si era mai posta il problema dell’acqua trovata in aereo, o perfino su un jet privato, ma in quel caso ci pensò bene.

Aveva paura di toccare qualsiasi cosa. Fluidi. La melma appiccicaticcia. Quei pezzetti dalla natura indefinibile. Tutto ciò le impediva di muoversi. Aprì la borsa che aveva in mano, tirò fuori un asciugamano e una bottiglietta di disinfettante generico e si mise al lavoro.

Mentre strofinava, la porta alle sue spalle continuava a tremare e far rumore a causa della forza che proveniva da fuori. Il cliente faceva sbattere il proprio corpo sulla porta, come se stesse per scardinarla.

Lei aveva deciso di rinominarlo Barone Rosso. Sylvia dava sempre soprannomi ai suoi clienti, e non si prendeva mai la briga di ricordare i loro veri nomi. La maggior parte davano comunque dei nomi falsi.

Il Barone le urlava di sbrigarsi ad uscire, dopo di che scagliò il suo corpo in sovrappeso contro la porta ancora una volta. Sylvia gettò un’occhiata in quella direzione, ma la porta era solida, e non avrebbe certo ceduto ad un allocco arrapato.

I bagni degli aeri erano piccoli, ma col tocco giusto e un po’ di attenzione, potevano considerarsi un ambiente intimo. Se non intimo, quanto meno preferibile ad un posto all’Inferno. Melissa, amica e mentore, le aveva impartito molte lezioni utili quando Sylvia aveva deciso di imparare quell’attività, ma la comodità non era mai stata tra le cose necessarie. Per Melissa, il bagno era solo un posto per aspettare gli stronzi, non un luogo di vita. A Sylvia sembrava invece che dovunque tu sia, tu sia vivo, e sarebbe dunque dovuto essere il più possibile piacevole.

Questa era, a dire il vero, una bugia che si ripeteva da anni. Aveva ricacciato il suo cinismo giù nel profondo del suo grembo, e lasciava che pulsasse lì come un feto inquieto. Dall’esterno, nessuno avrebbe detto che fosse incinta dell’odio verso ogni cosa. Melissa si era fatta una mezza idea, ma perfino lei era all’oscuro di quanto fosse falso l’aspetto solare di Sylvia.

Si udì un tonfo da sotto la porta. Il Barone aveva deciso che forse ce l’avrebbe fatta col piede laddove il resto del corpo non ce la faceva. I due amici che erano con lui lo incitavano gridando e ridendo. Potevano dare spettacolo quanto volevano, per lei il bagno era casa sua in quel momento. Continuava a strofinare la tavoletta del water in modo da avere un posto per rilassarsi. Poteva essere un lungo volo.

Melissa le aveva detto che avrebbe dovuto tirarla un po’ più a lungo. I giochi del Barone le sarebbero piaciuti—o quanto meno, avrebbe potuto fare finta che fosse così. A Sylvia non dava fastidio quando la afferravano con forza o la sculacciavano. Poteva sopportare mani sul seno e perfino dei baci in posti strani, ma aveva messo una linea di confine quando l’intrusione era eccessiva.

Il Barone le era venuto dietro mentre lei preparava da bere e le aveva infilato la mano sotto la gonna. Subito, le aveva infilato un dito nel culo. Si trattava di una violazione del contratto, senza contare quanto la cosa fosse disgustosa e anche un po’ dolorosa. Non era contraria ad azioni del genere, ma voleva che regole e costi fossero decisi in anticipo.

Sylvia non tollerava sorprese durante il lavoro.

Melissa le aveva detto che il mondo si reggeva sul chiamare le cose con nomi che non corrispondevano al vero. In un tempo di politically correct dilagante e di paralizzante paura sociale dell’essere colto nel mezzo di un passo falso, le parole per descrivere ciò che qualcosa era davvero o ciò che qualcuno faceva erano diventate più simili a una parodia che a una rappresentazione della realtà. Pertanto, Melissa e Sylvia non erano prostitute—erano assistenti di volo freelance.

La lezione più importante che Melissa le avesse insegnato riguardava l’importanza della borsa di emergenza. “tieni sempre una borsa in un luogo che puoi raggiungere al volo,” aveva detto, “Così, se le cose non vanno per il verso giusto, o il tipo diventa violento, puoi prenderla e andartene al cesso.”

Quella borsa era la sua ancora di salvezza. Conteneva qualunque cosa le potesse servire in quelle occasioni. Col tempo aveva aggiunto roba, ed era diventata più ingombrante, ma aveva imparato a sacrificare ciò che le serviva meno, e ad organizzare lo spazio. Quella di Melissa invece conteneva soltanto una bottiglia d’acqua, un libro da leggere, uno snack, e dello spray al peperoncino.

A paragone, la borsa di Sylvia era un tripudio di bisogni. Aveva del disinfettante, dello spray deodorante, un cuscino gonfiabile su cui sedersi comodamente durante i voli più lunghi, una scorta di biancheria e calzini, più tutto lo stretto necessario. C’erano gli assorbenti, e per quanto raramente lavorasse con le mestruazioni, le erano tornati utili quando un cliente le aveva fatto sanguinare il naso. C’era un contenitore extra di pillole, Alka-Seltzer, clinex, e un piccolo beccuccio che filtrava l’acqua dal rubinetto. Teneva anche un piccolo bloc-notes e una penna con cu annotava i suoi pensieri e le informazioni utili che carpiva durante ognuno dei suoi lavori.

Il suo oggetto preferito in quella borsa era un piccolo globo di neve che suo padre le aveva dato quando aveva dieci anni. Dentro c’era una miniatura in plastica dell’Empire State Building. La neve era fatta di brillantini, e l’acqua blu scintillante che un tempo lo riempiva tutto era ora evaporata per un terzo. Lo piazzò sul ripiano del lavandino mentre sedeva sul gabinetto—con un cuscino. Il globo di neve la legava a una vita di molti anni prima ed era il suo oggetto di maggior valore affettivo.

Bang!

Qualcosa andò a sbattere contro la porta così forte che Sylvia poté vederla perfino incurvarsi appena. Il Barone gridò, e lo fece in una lingua estranea ad una ragazza Americana qualunque. Non era proprio tedesco. Lei, di suo, non parlava tedesco, ma lo riconosceva se parlato da altri. Non sapeva cosa lui avesse scagliato contro la porta ma a giudicare dal rumore, immaginava dovesse essere una seggiola da bar.

Gli uomini tedeschi, stando all’esperienza di Sylvia, di solito avevano buone maniere. Quasi sempre tiravano indietro la sedia per farti sedere e solo di rado massacravano intere etnie di esseri umani. Il Barone non aveva mai toccato la sua sedia, e quello fu il primo indizio che lui non si sarebbe dimostrato un uomo perfettamente educato. Il secondo indizio lo ebbe quando il cuoco di bordo fu costretto a preparare ben tre pietanze; ognuna di esse rimandata indietro con un’espressione di disprezzo, finché la situazione non toccò il punto in cui il Barone diede una padellata in faccia al cuoco. Il pover’uomo insanguinato disse qualcosa che Sylvia non capì, e poi fu accompagnato in un’altra zona dell’aereo; dopo di che non fu più visto.

Non ebbe abbastanza tempo per riflettere sulla condizione del cuoco, poiché fu proprio allora che il Barone la violò con il succitato dito. Questo causò risate ed elogi da parte dei suoi amici, per quella prodezza mascolina. Sylvia stette ferma per ancora qualche momento, sconvolta. Quel dito era per lei un affronto sussultante. Quando tornò bruscamente alla realtà, Sylvia si voltò di scatto e schiaffeggiò il Barone Rosso lungo la mascella. Prese la borsa dall’armadietto vicino al bagno e si serrò all’interno.

Non molto dopo, il rumore dietro la porta era cessato. L’invasore tedesco si era acquietato e aveva smesso di molestarla. Sylvia si concesse pian piano la possibilità di rilassarsi, e quando avvertì che la tempesta era passata, tirò fuori un tascabile dalla borsa. Era un thriller pieno di suspense che aveva preso sulla via in un negozietto in aeroporto. Era pieno di omicidi e caos, ma soprattutto era sciocco.

Così avrebbe staccato il cervello e lasciato che le parole vi si insinuassero fino all’atterraggio.

Un’oscura Presenza - Mark L'Estrange

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Il Suono del Silenzio - Phillip Tomasso

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